Stampa raffigurante dei Guerrieri tatuati

Guerrieri Timucua tatuati nella Florida del 1562.

volto Maori tatuato

Tatuaggio sul volto di un maori.

 

Il tatuaggio è stato impiegato presso moltissime culture, sia antiche che contemporanee, accompagnando l’uomo per gran parte della sua esistenza; a seconda degli ambiti in cui esso è radicato, ha potuto rappresentare sia una sorta di carta d’identità dell’individuo, che un rito di passaggio, ad esempio, all’età adulta.

Tatuaggi terapeutici sono stati ritrovati sulla Mummia del Similaun (ca. 3300 a.C.) ritrovata nel 1991 sulle Alpi italiane, altro ritrovamento con tatuaggi anche piuttosto complessi è quello dell’ “uomo di Pazyryk” nell’ Asia centrale con complicati tatuaggi rappresentanti animali. Tra le civiltà antiche in cui si sviluppò il tatuaggio fu l’Egitto ma anche l’antica Roma, crocevia di civiltà, dove venne vietato dall’imperatore Costantino, a seguito della sua conversione al Cristianesimo (“Non vi farete incisioni nella carne per un defunto, né vi farete tatuaggi addosso. Io sono il Signore” Levitico 19.28′). È peraltro da rilevare che, prima che il Cristianesimo divenisse religione lecita e, successivamente religione di Stato, molti cristiani si tatuavano sulla pelle simboli religiosi per marcare la propria identità spirituale.

È inoltre attestata nel Medioevo l’usanza dei pellegrini di tatuarsi con simboli religiosi dei santuari visitati, particolarmente quello di Loreto. Fra i cristiani la pratica del tatuaggio è diffusa fra i copti monofisiti. Col tatuaggio i copti rimarcano la propria identità cristiana, i soggetti sono solitamente la croce copta, la natività ed il Santo Mar Corios, martirizzato sotto Diocleziano e rappresentato in sella ad un cavallo con un bambino.[1] La Religione ebraica vieta tutti i tatuaggi permanenti, come prescritto del Levitico (Vaikrà) (19, 28). In particolare, l’Ebraismo vieta ogni incisione accompagnata da una marca indelebile di inchiostro o di altro materiale che lasci una traccia permanente. Anche la Religione musulmana vieta tutti i tatuaggi permanenti, come spiegato da diversi ahadith del profeta Maometto, sono consentiti solo i tatuaggi temporanei fatti per mezzo dell’ henna, pigmento organico di color rosso-amaranto, ricavato dalla pianta della “Lawsonia inermis”, “Henna” in arabo. Nella tradizione araba e anche in quella indiana sono le donne a tatuarsi con l’henna, sia le mani che i piedi; molte spose vengono completamente tatuate per la loro prima notte di nozze, infatti la sera prima delle nozze viene chiamata “Lelet al Henna” (la notte dell’henna). I tatuaggi d’henna sono estremamente decorativi, quasi sempre con motivi floreali stilizzati; quelli molto elaborati finiscono per sembrare delle opere d’arte che hanno la durata media di qualche settimana di vita. Gli uomini musulmani, specialmente i fervidi praticanti sunniti, usano l’henna per tingersi i capelli, la barba, il palmo delle mani e dei piedi; agli uomini non è consentito fare tatuaggi decorativi neanche con l’henna. Comunque c’è da dire che tra i contadini egiziani (usanza molto probabilmente derivante dall’Antico Egitto) ed i nomadi musulmani (per lo più quelli sciiti) sia le donne che i bimbi particolarmente belli, vengono tatuati in maniere permanente con piccoli cerchietti o sottili linee verticali, sia sul mento che tra le due sopracciglia. È un’usanza di tipo scaramantica, infatti il colore con qui si tatuano è l’azzurro, il colore scaramantico per eccellenza fin dal tempo dei faraoni.

Altri popoli che svilupparono propri stili e significati furono quelli legati alla sfera dell’Oceania, in cui ogni particolare zona, nonostante le similitudini, ha tratti caratteristici ben definiti. Famosi quelli Maori, quelli dei popoli del monte Hagen, giapponesi, cinesi e gli Inuit anche se praticamente ogni popolazione aveva suoi caratteristici simboli e significati. Nella zona europea il tatuaggio venne reintrodotto successivamente alle esplorazioni oceaniche del XVIII secolo, che fecero conoscere gli usi degli abitanti dell’Oceania. Alla fine del XIX secolo l’uso di tatuarsi si diffuse anche fra le classi aristocratiche europee, tatuati celebri furono, ad esempio, lo Zar Nicola II e Sir Winston Churchill. È da segnalare che il criminologo Cesare Lombroso ritenne, in un’epoca di positivismo, essere il tatuaggio segno di personalità delinquente. La diffusione del tatuaggio in tutti gli strati sociali e fra le persone più diverse negli ultimi trent’anni relega tali considerazioni criminologiche a mera curiosità storica.